Saturday, December 21, 2024

Teha, il 56% degli edifici pubblici è inefficiente, 1 su 4 è in classe G

Il settore edilizio in Italia, responsabile del 42% dei consumi energetici e del 18% delle emissioni di gas serra, rappresenta una leva fondamentale su cui intervenire per rispondere alla necessità di decarbonizzazione, come previsto dall’Agenda strategica europea. Con  una spesa media di 50 miliardi di euro l’anno per i consumi termici ed elettrici negli edifici, l’obsolescenza del patrimonio immobiliare italiano sottolinea l’urgenza di accelerare: in questo contesto, la Pubblica Amministrazione (PA) può contribuire in maniera decisiva, considerando che il 56% degli edifici pubblici in Italia è nelle classi energetiche più basse. In linea con la Direttiva UE, il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) prevede ora un obiettivo di efficientamento del 3% annuo del patrimonio edilizio pubblico dal 2025 al 2030, target 9 volte superiore alla superficie riqualificata tra il 2014 e il 2022.

Tuttavia, negli ultimi anni si è verificata una contrazione del tasso medio di riqualificazione degli edifici pubblici (nel 2022 è stato dello 0,7%), evidenziando le criticità che ostacolano il processo di decarbonizzazione, tra cui la mancanza di programmazione, la carenza di competenze tecniche e le difficoltà nell’utilizzo delle risorse disponibili (solo tra il 4% e il 50% delle risorse stanziate sono state effettivamente spese nel periodo 2019-2022).

È quanto emerso dall’analisi condotta dalla Community Smart Building di The European House – Ambrosetti (TEHA), che ha coinvolto operatori della filiera, istituzioni e PA per indagare opportunità e sfide per la transizione smart dei Comuni italiani.

“Il contributo della PA nel processo di decarbonizzazione del settore edilizio è evidente e si individuano due direzioni di intervento: il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione imposti dall’UE per gli edifici pubblici e la sensibilizzazione dei cittadini sui benefici della riqualificazione smart degli edifici – ha spiegato Benedetta Brioschi, Partner e Responsabile Community Smart Building di TEHA Group -. Tuttavia, non mancano le criticità, a partire dalla modalità del massimo ribasso nel processo di appalto, dalla carenza di competenze tecniche e, a livello locale, dalle difficoltà nella diagnosi e nel monitoraggio degli interventi. Una leva fondamentale per accelerare l’efficientamento degli immobili pubblici è promuovere una gestione aggregata dell’energy management degli edifici attraverso il monitoraggio dei dati energetici e un’applicazione più estesa della diagnosi energetica, punto di partenza per comprendere a fondo il fabbisogno energetico di ciascun edificio e gli interventi migliori da realizzare”.

In questo contesto, uno strumento chiave è rappresentato dal Partenariato Pubblico Privato (PPP) che però, ad oggi, è stato ancora poco utilizzato: tra il 1990 e il 2021 sono stati spesi solo 4,5 miliardi di euro, rispetto ai 93 miliardi del Regno Unito.

“I PPP offrono numerosi vantaggi, tra cui tempi di realizzazione più rapidi, minor impatto sulla finanza pubblica, maggiore stimolo all’innovazione, condivisione dei rischi e ottimizzazione dei costi per l’intero ciclo di vita degli edifici”, spiega Lorenzo Tavazzi, Senior Partner e Responsabile Scenari & Intelligence di TEHA Group -. “Inoltre, permettono una migliore integrazione tra competenze pubbliche e private, creando soluzioni su misura per ogni specifico bisogno. Fra le missioni della Community Smart Building c’è anche l’impegno a favorire il dialogo e la collaborazione fra gli operatori dell’industria e i decisori pubblici: gli operatori della filiera degli edifici intelligenti possono supportare la PA nell’identificazione delle tecnologie più indicate per accelerare l’efficientamento degli edifici pubblici e a colmare il gap di competenze che oggi è una dei principali ostacoli al raggiungimento degli obiettivi di efficienza energetica”.

Decarbonizzazione della PA, l’Italia è in ritardo – L’analisi di TEHA evidenzia come in Italia, al 2024, il 56% degli edifici pubblici si trova nelle tre classi energetiche peggiori (E, F, G), con un quarto (24%) concentrato nella sola classe G, mentre le classi energetiche superiori (A4, A3, e A2) rappresentano appena il 4% del totale. Per ridurre le emissioni del settore, la PA si è data obiettivi ambiziosi: l’Agenzia del Demanio ha stanziato 2,1 miliardi di euro per riqualificare 5 milioni di metri quadri di superficie entro il 2026 e, attraverso il PREPA (Programma di Riqualificazione Energetica degli edifici della PA), è stato pianificato di efficientare il 18% degli edifici pubblici fra il 2025 e il 2030, con un tasso di efficientamento del 3% annuo e una riduzione annuale dei consumi energetici pari all’1,9%.

 

A fronte di questi obiettivi, la PA oggi appare in ritardo. Dopo il picco del 2018, quando ha raggiunto quota 4,1%, il tasso annuale di riqualificazione degli edifici pubblici è calato significativamente, fermandosi allo 0,7% nel 2022. Anche gli operatori del settore e i rappresentanti degli enti locali, coinvolti in un sondaggio condotto dalla Community Smart Building, sono poco ottimisti: per il 94% degli intervistati, il tasso di riconversione aumenterà ma resterà lontano dal target fissato dal PREPA. La categoria più critica è rappresentata da scuole e università (82% del campione), che effettivamente rappresentano il 38% del parco immobiliare della PA. Quasi la metà (47%) ritiene prioritario intervenire sull’edilizia pubblica residenziale, mentre il 41% indica gli ospedali e il 12% gli uffici pubblici.

 

Gli ostacoli che frenano la riqualificazione degli edifici pubblici – Il processo di decarbonizzazione nella PA si scontra con diverse criticità. Spiccano i problemi di gestione finanziaria, la modalità di selezione nei bandi di gara che, spesso basata sul massimo ribasso, limita l’innovazione e la qualità delle soluzioni tecnologiche e non garantisce adeguata redditività alle aziende. Le problematiche più sentite dagli addetti ai lavori, rivela il sondaggio TEHA, sono i ritardi burocratici e l’eccessivo numero di enti coinvolti (indicati dal 68% del campione) e la mancanza di fondi (53%). Seguono la carenza di competenze tecniche all’interno della PA (42%), che limita la capacità di pianificare, gestire e valutare gli interventi, l’adozione del criterio del massimo ribasso come principale metodo di selezione nelle gare d’appalto (32%), che compromette la qualità e l’innovazione delle soluzioni adottate, e criticità nella fase di diagnosi e monitoraggio dei risultati degli interventi (26%).

 

Un ulteriore elemento emerso dal sondaggio come critico per la transizione smart degli edifici pubblici è l’importanza di considerare ognuna delle parti di cui si compongono al momento di definire gli interventi di efficientamento, e di considerare anche i flussi di persone come una delle dimensioni da esaminare. Porte, tornelli, ascensori sono anch’essi elementi che possono essere integrati e connessi e contribuire all’efficienza energetica del complesso. Un esempio, sono le soluzioni che consentono di trasformare l’energia in eccesso generata da un ascensore in fase di frenatura in elettricità che può essere riutilizzata altrove nell’edificio (illuminazione delle aree comuni, condizionamento…).

 

L’opportunità del Partenariato Pubblico Privato per la ricerca di figure specializzate – In questo contesto, per il 72% del campione intervistato da TEHA (in questo caso, composto in particolare da rappresentanti degli enti locali) il Partenariato Pubblico Privato (PPP) è uno strumento chiave per supportare la decarbonizzazione della PA tramite capitali privati. Per capitalizzare appieno queste opportunità è essenziale un maggiore impegno e una strategia ben coordinata a livello nazionale per promuovere e implementare tali partenariati. L’Italia, infatti, con solo 4,5 miliardi di euro, mostra un utilizzo relativamente moderato del PPP, a differenza di Regno Unito (93 mld) Francia (14,1 mld) e Spagna (7,9 mld).

 

L’ingresso di capitali privati può invece accelerare i tempi di realizzazione dei progetti, riducendo il carico finanziario sugli enti pubblici, nonché portare a un incremento dell’innovazione, grazie all’accesso a tecnologie avanzate e competenze specialistiche. In particolare, ingegneri (60%), progettisti (50%), installatori di sistemi HVAC e di domotica (40%), e tecnici di manutenzione e sicurezza (40%) sono i profili più richiesti nel settore degli Smart Buildings. Figure che la PA ha avuto notevoli difficoltà nel reperire negli ultimi anni, con il 71,6% delle posizioni per ingegneri e architetti e il 37,5% per tecnici informatici rimaste vacanti: un gap di competenze che rappresenta un ostacolo nell’implementazione efficace di politiche di sostenibilità e innovazione tecnologica nell’ambito degli edifici pubblici e che potrebbe essere colmato proprio con la collaborazione con il privato.

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