I colossi della tecnologia, nonostante dichiarino piani ambiziosi sull’azzeramento delle emissioni di gas serra e abbiano “un crescente potere di mercato”, fanno un’attività di lobbying “molto limitata” sulla politica climatica. Lo rivela un rapporto del think tank indipendente InfluenceMap secondo cui fanno molto di più i giganti petroliferi.
Il gruppo di esperti, che studia dati pubblici diffusi da una serie di fonti e fornisce analisi su come il mondo del business affronta la crisi climatica, ha redatto il rapporto “Big Tech and Climate Policy” che mostra come “solo il 4% delle attività di lobby fatte nel periodo 2019-20 da Apple (2%), Alphabet (3%), Amazon (5%), Facebook (6%) e Microsoft (5%) si sono concentrate sulla lotta ai cambiamenti climatici in una sede federale degli Stati Uniti”. In Europa, poi, queste cinque società non si sono esposte sugli obiettivi ambiziosi dell’Ue sul clima.
Sul fronte dei combustibili fossili, invece, nel 2019-20 ExxonMobil, Chevron, BP, Shell e ConocoPhillips hanno concentrato il 38% delle loro attività di lobbying federali negli Stati Uniti sul clima.
Secondo il rapporto, “il sostegno delle Big Tech all’azione per il clima è ulteriormente minato dalla loro appartenenza a potenti gruppi industriali” contrari alle misure necessarie per soddisfare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Peraltro, il settore Big Tech rappresenta circa il 25% del valore dell’S&P500 (e il 20% dei suoi ultimi profitti aggregati), mentre l’intero settore energetico, comprese le compagnie petrolifere e del gas, rappresenta solo il 2,3%. Quindi, secondo il think tank, le cinque aziende tecnologiche sarebbero più concentrate su “questioni tecniche”, cioè su come rifornirsi di energia pulita tralasciando questioni più strategiche come target per le rinnovabili, scambio di emissioni e riduzione di attività ad alto contenuto di carbonio.