Lo scetticismo di Donald Trump verso il cambiamento climatico è emerso spesso durante il suo discorso di inaugurazione, in cui ha ribadito di voler ritirare gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, firmato dal suo predecessore Barack Obama nel 2015, e di voler rimuovere la regolamentazione ambientale creata sotto la presidenza di Joe Biden, in quanto dannosa per l’economia statunitense e in particolare per il suo comparto oil & gas.
A seguito di ciò, banche commerciali, compagnie assicurative e asset manager hanno iniziato a prendere le distanze da alcune iniziative per il clima e la Federal Reserve ha annunciato che sta uscendo dal Network for Central Banks Supervisors for Greening the Financial System (NGFS).
Attualmente, con una media di 17,8 milioni di barili ogni giorno, gli Usa sono il maggior produttore al mondo di petrolio e gas naturale, nonché il secondo emittente di gas serra. Inoltre, è opportuno ricordare questo paese è anche un estrattore e ciò richiede l’impiego di tecnologie all’avanguardia per “spremere” le risorse dalle rocce in cui sono contenute.
In un articolo dello scorso 6 novembre, Novethic ha pubblicato dei dati presentati da Carbon Brief sul suo sito web, in cui si stimano gli effetti che la politica del nuovo presidente potrebbe avere sull’ambiente. In particolare, si prevede che entro il 2030, le emissioni di CO2e potrebbero crescere di 4 miliardi di tonnellate, pari alle emissioni di Europa e Giappone messi assieme, o alla somma dei 140 paesi meno inquinanti.
Considerando che già tra il 2017 e il 2021, durante il suo primo mandato, Trump aveva già stralciato oltre 160 standard ambientali emanati da Obama e che era già uscito dall’Accordo di Parigi (gli Stati Uniti sono rientrati poi con la presidenza Biden), in questo secondo mandato il tycoon potrebbe spingersi ancora oltre, ritirando il paese dalla Convenzione Onu sui cambiamenti climatici (la UNFCCC). Questa decisione potrebbe spingere anche altre nazioni a prendere decisioni simili, anche se alcune potrebbero frenare le loro ambizioni in attesa dei nuovi piani sul clima che dovrebbero essere pubblicati il prossimo anno.
Inoltre, il rischio per la diplomazia green appare ancora più grande, dato che l’Europa non sembra essere in grado di resistere a certe sirene come nel 2017. A dimostrazione di ciò, basta pensare al fatto che l’Unione Europea sarebbe in procinto di rivedere il Green Deal, dopo che Mario Draghi, nel suo report sulla competitività, ha messo in dubbio l’efficacia delle tre normative adottate (SFDR, CSRD, e CSDDD) negli ultimi anni per rafforzare la trasparenza nella sostenibilità e indirizzare il capitale verde.
Un’ulteriore minaccia proveniente dalla Casa Bianca riguarda l’abbandono degli Stati Uniti del World Climate Fund. Durante la campagna elettorale, Trump ha anche avanzato la proposta di ritirare gli Usa dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) – due organismi di cui sono il maggiore azionista – e di porre fine ai contributi finanziari verso questi. Gli Stati Uniti pagano anche un quinto del budget dell’UNFCCC.
A cura di Valérie Demeure, Head of ESG Research at Ofi Invest AM