Saturday, December 21, 2024

Chiarelli (Pictet AM): ecco come guadagnare con la sostenibilità

I fondi di co-investimento valgono oggi oltre 175 miliardi di dollari e rappresentano una modalità per cavalcare trend secolari, come quello della sostenibilità. Sulla scia della crescita del private equity, anche l’utilizzo di strumenti di ‘co-investimento’ sta a sua volta incrementandosi, consentendo agli investitori istituzionali un accesso privilegiato a società non quotate selezionate che presidiano le tecnologie piu’ promettenti per abilitare il net zero. Parola di Giambattista Chiarelli, Head of Institutional di Pictet Asset Management che ha svelato la linea per investire nella transizione green.

“Un modo efficace per avere un impatto è quello di puntare sulle aziende focalizzate nelle tecnologie abilitanti per la transizione”, ha spiega Chiarelli. “Si tratta di società che sono per lo più startup, alcune diventate Unicorni, e che nelle maggior parte dei casi non sono quotate in Borsa. In generale, l’87% delle imprese con profitti superiori ai 100 milioni di dollari sono aziende private; un campo dove difficilmente i fondi di fondi o altri panieri tradizionali hanno i loro radar. Al contrario, tutte le maggiori opportunità investibili della transizione green sono questione da private equity: un mercato altamente illiquido e che presenta diversi rischi, pur a fronte di una redditività potenzialmente elevata”.

Esiste pero’ uno strumento – all’interno del mercato del Private Equity (PE) – che apre agli investitori istituzionali una porta di accesso privilegiata a questi asset, mitigandone i rischi. Ovvero il co-investimento, una particolare struttura finanziaria in cui i fondi di private equity (noti come general partner, GP) offrono a investitori selezionati (limited partner, LP) l’opportunità di investire su una specifica azienda insieme a loro, con diversi vantaggi per l’uno e per l’altro.

“Per i general partner dei fondi di PE il vantaggio principale sta nella possibilità di superare le ‘restrizioni della concentrazione’, vale a dire i limiti alla quantità di capitale che possono investire in un’unica azienda”, continua l’esperto di Pictet AM. “Per gli investitori selezionati, invece, i benefici sono differenti, tra cui il principale e’ l’accesso diretto ad aziende private di alta qualità, in maniera molto più mirata di quella che consente un fondo di fondi, in quanto un fondo di co-investimento ha al suo interno solo circa 25-30 aziende”.

Inoltre, il doppio livello di Due Diligence a cui vengono sottoposti gli investimenti, quella del GP che propone l’investimento e quella del LP che lo valuta, implicitamente riduce il rischio dell’operazione. Ancora, un vantaggio insito nel co-investimento per i LP è il fatto di avere la facoltà di poter scegliere tra più deals proposti dai GP e non procedere a ‘scatola chiusa’.

Secondo Chiarelli, un altro vantaggio è la maggior rapidità con cui i co-investimenti vengono implementati: quest’ultimi, infatti, per arrivare a essere investiti completamente impiegano di solito 2 o 3 anni, rispetto ai tradizionali fondi di fondi di PE che possono richiedere da 6 a 7 anni.

“L’implementazione precoce può contribuire a mitigare il problema dall’andamento della ‘J-curve’, la curva che rappresenta la tendenza degli investimenti di PE a generare perdite di capitale nei primi anni di vita, prima di cominciare a produrre utili”, sottolinea il manager. “Infine, il rendimento netto è potenziato dal fatto che i general partner offrono solitamente coinvestimenti senza le consuete commissioni di gestione (1,5-2,0%) e di performance (20%). Un aspetto importante per un’asset class nota per le sue commissioni elevate”.

Uno dei temi che meglio si adatta a entrare nella cornice del co-investimento è il megatrend della sostenibilità. Perché? La risposta risiede nei numeri. Il net zero è in cima alle agende dei governi e rappresenta oggi una priorità per i consumatori, al punto che il 92% del PIL globale è attualmente coperto da obiettivi di decarbonizzazione. Tuttavia, questi impegni non possono essere soddisfatti solo con cambiamenti comportamentali: al contrario, il peso di quest’ultimi nel percorso di riduzione della CO2 è solo del 4% al 2030 e del 6% al 2050. Molto dipenderà dallo sfruttamento delle tecnologie esistenti (che sugli obiettivi del 2030 pesano per l’82% e peseranno per il 50% nel 2050) e dallo sviluppo di nuove tecnologie (con un valore rispettivamente del 44% nel 2023 e del 50% nel 2050).

La penetrazione della tecnologia pulita è ancora complessivamente bassa, ma ci sono buoni motivi per essere ottimisti. L’Agenzia Internazionale dell’Energia stima che la maggior parte delle tecnologie pulite necessarie per raggiungere gli obiettivi del net zero entro il 2030 sia già pronta per il mercato. Un mercato che, secondo le previsioni, dovrebbe raddoppiare in volume al 2030, passando da 4,9 trilioni di dollari nel 2020 a 12,1 trilioni di dollari.

Tuttavia, affinché le tecnologie raggiungano il loro pieno potenziale sono ancora necessari investimenti significativi.

La Climate Policy Initiative calcola che, come minimo, i finanziamenti dedicati alle tecnologie pulite dovrebbero aumentare del 590% da qui al 2030. Un obiettivo ambizioso, ma che rappresenta un’opportunità particolarmente gratificante per gli investitori.

Perché per presidiare questi trend è necessario rivolgersi al Private Equity? Anche in questo caso, ci vengono in soccorso i dati.

“Globalmente le aziende ambientali non quotate con una valutazione superiore a 1 miliardo di dollari sono aumentate di 14 volte dal 2017 ad oggi, mentre il numero totale di Unicorni è quadruplicato nello stesso periodo”, conclude Chiarelli. “In questo universo ci sono i leader di domani attivi nei cinque settori chiave della transizione: riduzione dei gas serra, consumo sostenibile, controllo dell’inquinamento, economia circolare, tecnologie abilitanti. Si tratta, infatti, di aziende che operano nel settore delle batterie, delle tecnologie per la rimozione del carbonio, dell’agri-tech e della sicurezza alimentare, della qualità dell’acqua e dell’aria e del trattamento dei rifiuti. Ma anche di realtà attive nella sharing economy e nei settore dei biocarburanti e della chimica verde”.

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