Un miliardo di euro in meno: è questo l’impatto economico del lockdown di primavera sull’industria dei rifiuti speciali. Il dato è stato calcolato dal Was (Waste Strategy), il think tank sull’industria dei rifiuti e il riciclo di Althesys, che ha fatto una prima stima delle conseguenze economiche della chiusura di numerose attività, partendo dai settori indicati dal dpcm del 25 marzo 2020. Gli economisti ipotizzano che si siano persi, nel complesso, due mesi lavorativi tra fermo e ripartenza, con un calo compreso tra i 4,2 e i 4,8 milioni di tonnellate di rifiuti speciali solo nelle tre regioni più colpite: Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna.
Di segno opposto, ovviamente, l’andamento dei rifiuti sanitari, nicchia di mercato assai più piccola e redditizia, che l’improvvisa e imprevedibile impennata dei volumi da gestire sta tuttora mettendo a dura prova. Le complessità italiane, che da troppo tempo frenano la costruzione di impianti, rischiano di diventare drammatiche in un comparto dove la termovalorizzazione è necessaria per ovviare ragioni di sicurezza sanitaria.
E i rifiuti urbani? Nemmeno qui si è al riparo dagli effetti della pandemia, dato che per la produzione è previsto un calo, conseguente alla contrazione dei consumi: ipotizzando una riduzione del Pil nazionale tra il 6% e 8% su base annua, la minor produzione di Ru potrebbe arrivare fino a 2 milioni e mezzo di tonnellate. La crisi impatta anche sulla tariffa rifiuti, già oggetto di proroghe. La ristorazione è certamente il settore più penalizzato dal blocco delle attività e le misure, seppur apprezzabili, introdotte da Arera, rischiano di non bastare. Il paradosso è poi l’onere che rischia di colpire esercizi chiusi che si trovano comunque a pagare per rifiuti non prodotti.
Peraltro, il calo di queste attività ridurrà solo parzialmente gli oneri dei gestori, data la struttura di costi fissi e la necessità di assicurare la continuità del servizio. Trovare la quadra tra ridurre i ricavi delle imprese di waste management e non penalizzare gli utenti non è però facile. “La ricostruzione post-Covid da una situazione drammatica senza precedenti – spiega l’economista Alessandro Marangoni, a capo del think tank e Ceo di Althesys – dovrà anche ripensare alcuni aspetti del nostro sistema di waste management. Paradossalmente, la crisi indotta dalla pandemia potrà essere un’opportunità per affrontare con determinazione le debolezze del nostro Paese nei rifiuti: carenze di infrastrutture, burocrazia, indecisionismo politico, apatia (o peggio ostilità) sociale”.
Gli impatti dell’attuale crisi colpiscono un settore che sta attraversando una fase di profonda trasformazione e che, fino al 2019, cresceva nonostante le criticità italiane. Le maggiori 230 aziende che si occupano di raccolta, trattamento, smaltimento e selezione rifiuti urbani hanno registrato, in quell’anno, un valore di produzione di 11,7 miliardi di euro, con un aumento sia dei rifiuti gestiti (+6,4%) che degli investimenti (+4,1%), rispetto al 2018. Sono solo alcuni dei dati del Was Report, rapporto annuale di Was (Waste Strategy), il think tank sull’industria dei rifiuti e il riciclo presentato da Althesys nel dicembre 2020.
Il report ha confermato l’eterogeneità del quadro italiano: la distanza tra la prima delle 120 aziende per valore della produzione (multiutility con circa 1,2 miliardi di euro solo nel waste) e l’ultima (monoutility locale con meno di 10 milioni) è infatti molto ampia. Nel 2019 le grandi multiutility quotate hanno generato il 31% del valore di produzione, coprendo poco meno di 3.000 Comuni e il 30% dei rifiuti raccolti. Alle piccole e medie monoutility se ne deve invece il 23%, con il 40% delle municipalità servite. Al contempo, la raccolta differenziata media aumenta di 1,7 punti percentuali, passando dal 63% al 64,7%, rispetto ad un dato nazionale che era nel 2018 del 58,1%.
Sono stati appunto i maggiori player a far crescere il mercato anche nel 2019, nonostante il quadro macroeconomico debole. I rifiuti gestiti dalle Top 120 aziende della raccolta, trattamento e/o smaltimento si sono attestati su 26,5 milioni di tonnellate, con un aumento del 6,4% sull’anno precedente. Le sole aziende di igiene urbana, in particolare, hanno raccolto 22,8 milioni di tonnellate, aumentate del 6,5% rispetto al 2018. Sono cresciuti anche gli investimenti (+4,1% rispetto al 2018), pari a circa 535 milioni di euro. Le Top 120, pubbliche e private, che coprono il 56% dei Comuni italiani, servono circa il 70% degli abitanti e raccolgono il 76% dei rifiuti urbani.